martedì 22 maggio 2018

DONNE DI CARTA: Ann Deverià


Nonostante tutto, la mia cocciutaggine mi impone di portare avanti il mio progetto di "rinfrescare" e dare finalmente un'anima anche a questo secondo blog.
Perciò, anche se il tempo a disposizione è sempre poco, ma nella mia mente le idee frullano a decine, ho deciso di avviare quella che sarà una seconda "rubrica" (la quale, ahimè, temo che avrà un andamento un tantino discontinuo, come l'altra) da dedicare, di volta in volta, ad un personaggio femminile che, perlomeno secondo il mio modesto parere, lascia in qualche modo un segno.
"Donne di carta", dunque. Creature effimere nate dall'inchiostro e dalla mente di autori di oggi o di ieri, eppure donne forti, consistenti, con un'anima che le rende in un certo senso "vive".

Difficile scegliere da dove iniziare, tra le tante, meravigliose figure che la letteratura di oggi e di ieri i propone; eppure io in un certo senso non ho avuto dubbi. Scelgo di iniziare da lei, dalla splendida, inquieta, riservata Ann Deverià di Oceano Mare.

Una donna che passeggia solitaria su una spiaggia deserta, avvolta in un mantello viola scosso dal vento salmastro; questa l'immagine ricca di impatto con cui Ann Deverià compare in scena.
Lei, come gli altri ospiti della Locanda Almayer, giunta in quel luogo remoto in cerca di una qualche guarigione. Lei così affascinante, così apparentemente sana, così misteriosamente riservata, eppure così fragile, tanto da ricercare anch'essa quel potere terapeutico del mare che ha spinto tutti in quella piccola, sperduta locanda.



E da cosa, esattamente, deve guarire, una come Ann Deverià? Da quello che, tutto sommato, è ed è stato il male di tante donne, nel tempo. L'assenza di desideri. L'assenza di passione. L'assenza di amore, sacrificato in nome di una qualche più o meno discutibile convenienza.
Ann è una donna che pacatamente riflette su sè stessa, rimette in discussione la propria vita e cerca di rinascere. Lo dice lei stessa, in una lunga passeggiata sulla spiagga, aspirando forte l'odore del mare:

"Io non volevo essere felice, questo no. Volevo.. Salvarmi, ecco: salvarmi. Ma ho capito tardi da che parte bisognava andare: dalla parte dei desideri. Uno si aspetta che siano altre cose a salvare la gente: il dovere, l'onestà, essere buoni, essere giusti. No. Sono i desideri che salvano. Sono l'unica cosa vera. Tu stai con loro, e ti salverai. Però, troppo tardi l'ho capito."

Qui, in questo lungo monologo durante la passeggiata con la bella Elisewin, si condensa l'essenza dell'animo di Ann Deverià. Qui  finalmente apre il suo cuore, e lascia uscire il tormento che l'ha condotta in riva al mare, in fuga da una vita che non sente più sua, in cerca di sè stessa. Ann è una donna tormentata che cerca di rinascere, una donna imperfetta, una donna che paga certamente le conseguenze delle sue stesse scelte, una donna imprigionata in un matrimonio infelice ed in una vita che non sente più sua.
Adoro questa sua fragilità, questo suo essere una donna come tante, non un'eroina perfetta, non un modello convenzionale, eppure una straordinaria figura femminile.
Straordinaria ancor più quando, di fronte al riaffacciarsi nella sua vita di una passione tutto sommato ancora ardente, Ann rivendica innanzitutto il suo essere libera. Il suo essere sè stessa, l'aver ritrovato una sua dimensione.
Ora, non voglio nemmeno svelare troppi dettagli sulla storia, in fondo qualcuno potrebbe non averla letta e finirei per rovinare in parte il gusto della lettura.
Diciamo solo che ciò che ho adorato in questo personaggio sono proprio i suoi contrasti.
Il suo saper stare da sola - condensato nell'immagine di lei e del suo mantello viola sullo sfondo del mare - che non è frutto di depressione nè di instabilità quanto piuttosto di un ritrovato equilibrio.
Il suo coraggio di abbandonare il passato per rimettersi in gioco, e rifiorire.
La sua fragilità estrema, eppure la sua solidità nell'affontare da sola la ricerca di una nuova vita.
L'introspezione. Il fascino. La forza dell'equilibrio.

immagine tratta da Pinterest
Sarà che ho letto questo libro in una fase particolare della mia vita, in un momento in cui anche io mettevo in discussione parecchi aspetti di me stessa e mi sentivo pronta a voltare pagina e riprendere in mano me stessa, prima che la mia vita. Sarà che la penna di Baricco riesce a toccare corde particolari.
Sarà un'insieme delle due cose, ma questo personaggio l'ho sentito particolarmente vicino, come di rado mi accade.
E forse il parallelismo è un tantino azzardato, ma da Ann Deverià la mia mente vola inevitabilmente al bellissimo brano di Jack Folla sulle Donne in rinascita, sentito e risentito, per carità, un tantino scontato, ma sempre tremendamente bello.



Ecco, Ann Deverià è bellissima perchè è così. Una donna che per un motivo o un altro ha fallito, che sente di vivere una vita che non le appartiene, una donna che sente di voler vivere davvero, con passione, a costo di essere additata e condannata per i suoi desideri. Una donna che tocca il fondo, e cerca di rialzarsi, cercando di ripartire da sè stessa prima ancora di avviare una nuova relazione.

Un personaggio, a mio modesto avviso, di una bellezza sconvolgente.

mercoledì 9 maggio 2018

MESSAGGI IN BOTTIGLIA: Il Mago di OZ

Anche se a rilento - ahimè, negli ultimi mesi ho abbandonato a sè stesso il blog principale, figuriamoci questo - procede testardo il mio intento di sviluppare, anche se con cadenza capricciosa ed imprevedibile, questa sorta di rubrica, il cui senso vuol essere: parliamo di quei classici che andrebbero assolutamente recuperati per la modernità del messaggio che continuano a trasmetterci.
Il primo post lo dedicai alla poesia "IF", Di Kipling, splendida "eredità spirituale" in grado di fornire solide basi agli uomini di oggi come a quelli di ieri.

Stavolta, invece, ho scelto di dedicare questo spazio ad un classico universalmente noto eppure mai sufficientemente messo in luce: Il Mago di Oz di Lyman Frank Baum, al quale ho già dedicato una recensione qui.

Lyman Frank Baum, Immagine tratta da Wikipedia

La storia di Dorothy che dal Kansas viene trascinata assieme alla sua casa ed al cagnolino Toto in uno strambo universo parallelo dove con l'aiuto di tre bizzarri personaggi e di una lunga strada di mattoni gialli si mette alla ricerca del grande e potente Mago che forse saprà ricondurla a casa, è talmente nota da risultare quasi banale.
Eppure, a mio parere, c'è un aspetto che rende questa storia assolutamente straordinaria e per certi versi inconsueta rispetto alle favole - o in generale, ai racconti per ragazzi - più "tradizionali".
Già nella recensione dedicatagli su Mete D'Inchiostro ne avevo parlato, e qui voglio ripeterlo: la straordinarietà di questa storia sta nel messaggio che lancia a noi come agli uomini di un tempo, sulla necessità di trovare dentro di noi le risposte ai quesiti che cerchiamo, senza affidarci alla cialtroneria altrui.
In nessuna delle altre storie che costellano la mia infanzia letteraria c'è un messaggio tanto potente. Anzi, tutt'altro. Nelle favole di solito ci sono le fate, o i maghi, che più o meno a distanza seguono le vicende umane e che, all'occorrenza, intervengono a correggere il cammino, o a difendere il loro protetto. Qui, tutto è capovolto.
Insieme a Dorothy e ai suoi compagni di viaggio, intraprendiamo un cammino pieno di pericoli lungo la strada che ci conduce al palazzo del Grande e Potente Oz, pieni di aspettative e di speranza, perchè Lui e soltanto Lui, a quanto pare, sarà in grado di soddisfare le nostre richieste. Che non sono assolutamente richieste da poco. La piccola Dorothy vuole ritornare nel suo mondo e riabbracciare gli amati zii. Lo spaventapasseri vuole un cervello al posto della paglia che gli riempie la testa. L'uomo di latta vuole un cuore, per poter vivere le emozioni umane. E il leone, l'indimenticabile leone codardo, vuole il coraggio che dovrebbe essere caratteristica della sua specie.

 


Ma cosa accade, quando il piccolo gruppo di amici giunge alla sua meta? Scopre con disappunto e sgomento che il Grande e Potente Oz, altri non è che un impostore. Un mediocre, un piccolo ometto pavido e insicuro che si è costruito attorno un personaggio ed un palazzo per proteggere sè stesso e la sua fragile mediocrità dal mondo in cui vive, dominato da due potenti streghe che con le loro scorribande minacciano la tranquilla comunità degli abitanti di Oz.
Qui, dunque, il primo grande "Messaggio in Bottiglia" che Baum dal lontano 1900 ci lancia: attenzione, bambini, a coloro nei quali riponete le vostre speranze ed aspettative. Attenzione ad affidarvi ad occhi chiusi a chi promette di sollevarvi da ogni vostra difficoltà, di risolvere i vostri problemi, di sottrarvi alle vostre responsabilità. Attenzione, perchè non è tutto oro ciò che luccica, e perchè costui spesso non è che un'impostore, un ometto debole che si gonfia come un pallone per sembrare più grosso di quello che è, e che coltiva le vostre insicurezze per tenervi sotto controllo.
Un messaggio potente, non trovate?
E, d'altro canto, un messaggio che nella sua potenza rischia di abbaterci, come abbattuti sono i quattro protagonisti quando scoprono che, dopo tanta fatica, dopo tanti sacrifici, dopo tanti pericoli le loro speranze sono costrette a dissolversi come neve al sole.
C'è di che lasciarsi abbattere, e rinunciare. Ma qui subentra il secondo, straordinario messaggio che questo libro vuole darci. Cosa accade, infatti, quando la speranza inizia a sfumare nella disperazione, ed i quattro stanno pericolosamente incominciando a credere che mai e poi mai soddisferanno i loro desideri? Accade che, come per incanto, si rendono conto che i loro desideri li hanno già realizzati, eccome. 
Accade che guardandosi alle spalle, si rendano conto che la lunga, pericolosa strada appena percorsa li ha costretti a mettersi in gioco, a rischiare, a crescere. E, ciascuno di essi, senza nemmeno rendersene conto ha dimostrato lungo il cammino di avere già dentro di sè i mezzi per ottenere ciò che tanto ardentemente desiderava. 
Ed è così che lo Spaventapasseri si rende conto di aver dimostrato in più occasioni arguzia ed intelligenza, per mettere in salvo il gruppo di amici dai pericoli del cammino; che l'Uomo di Latta realizza che le lacrime di dolore che ha versato lungo il percorso altro non erano che una dimostrazione dell'esistenza di quel cuore che era convinto di non avere; e perfino l'inguaribile Leone Codardo, ha dimostrato di possedere il coraggio cui tanto agognava nel momento in cui affronta saldamente e a testa alta la perfida strega.
Personalmente, adoro questo aspetto della storia, adoro che in una favola, alla fine tutto si ribalti e salti fuori che non esistono maghi o incantesimi, ma solo la nostra forza interiore; e che la strada che percorriamo, gli episodi della nostra esistenza che ci mettono in crisi, le difficoltà che minacciano di abbatterci sono gli elementi che ci consentono di formare il nostro carattere.

Resta poi, certo, la questione di Dorothy e del suo rientro nel Kansas. Una questione fatta di scarpette rosse rubate alla Perfida Strega dell'Est, del bacio di una strega buona, di una semplice formula magica.
Questione in cui, inevitabilmente, un pizzico di magia può e deve intervenire: siamo pur sempre in una favola, d'altronde ^_^ 

Illustrazione di Stefano Bessoni, tratta da PINTEREST