mercoledì 9 maggio 2018

MESSAGGI IN BOTTIGLIA: Il Mago di OZ

Anche se a rilento - ahimè, negli ultimi mesi ho abbandonato a sè stesso il blog principale, figuriamoci questo - procede testardo il mio intento di sviluppare, anche se con cadenza capricciosa ed imprevedibile, questa sorta di rubrica, il cui senso vuol essere: parliamo di quei classici che andrebbero assolutamente recuperati per la modernità del messaggio che continuano a trasmetterci.
Il primo post lo dedicai alla poesia "IF", Di Kipling, splendida "eredità spirituale" in grado di fornire solide basi agli uomini di oggi come a quelli di ieri.

Stavolta, invece, ho scelto di dedicare questo spazio ad un classico universalmente noto eppure mai sufficientemente messo in luce: Il Mago di Oz di Lyman Frank Baum, al quale ho già dedicato una recensione qui.

Lyman Frank Baum, Immagine tratta da Wikipedia

La storia di Dorothy che dal Kansas viene trascinata assieme alla sua casa ed al cagnolino Toto in uno strambo universo parallelo dove con l'aiuto di tre bizzarri personaggi e di una lunga strada di mattoni gialli si mette alla ricerca del grande e potente Mago che forse saprà ricondurla a casa, è talmente nota da risultare quasi banale.
Eppure, a mio parere, c'è un aspetto che rende questa storia assolutamente straordinaria e per certi versi inconsueta rispetto alle favole - o in generale, ai racconti per ragazzi - più "tradizionali".
Già nella recensione dedicatagli su Mete D'Inchiostro ne avevo parlato, e qui voglio ripeterlo: la straordinarietà di questa storia sta nel messaggio che lancia a noi come agli uomini di un tempo, sulla necessità di trovare dentro di noi le risposte ai quesiti che cerchiamo, senza affidarci alla cialtroneria altrui.
In nessuna delle altre storie che costellano la mia infanzia letteraria c'è un messaggio tanto potente. Anzi, tutt'altro. Nelle favole di solito ci sono le fate, o i maghi, che più o meno a distanza seguono le vicende umane e che, all'occorrenza, intervengono a correggere il cammino, o a difendere il loro protetto. Qui, tutto è capovolto.
Insieme a Dorothy e ai suoi compagni di viaggio, intraprendiamo un cammino pieno di pericoli lungo la strada che ci conduce al palazzo del Grande e Potente Oz, pieni di aspettative e di speranza, perchè Lui e soltanto Lui, a quanto pare, sarà in grado di soddisfare le nostre richieste. Che non sono assolutamente richieste da poco. La piccola Dorothy vuole ritornare nel suo mondo e riabbracciare gli amati zii. Lo spaventapasseri vuole un cervello al posto della paglia che gli riempie la testa. L'uomo di latta vuole un cuore, per poter vivere le emozioni umane. E il leone, l'indimenticabile leone codardo, vuole il coraggio che dovrebbe essere caratteristica della sua specie.

 


Ma cosa accade, quando il piccolo gruppo di amici giunge alla sua meta? Scopre con disappunto e sgomento che il Grande e Potente Oz, altri non è che un impostore. Un mediocre, un piccolo ometto pavido e insicuro che si è costruito attorno un personaggio ed un palazzo per proteggere sè stesso e la sua fragile mediocrità dal mondo in cui vive, dominato da due potenti streghe che con le loro scorribande minacciano la tranquilla comunità degli abitanti di Oz.
Qui, dunque, il primo grande "Messaggio in Bottiglia" che Baum dal lontano 1900 ci lancia: attenzione, bambini, a coloro nei quali riponete le vostre speranze ed aspettative. Attenzione ad affidarvi ad occhi chiusi a chi promette di sollevarvi da ogni vostra difficoltà, di risolvere i vostri problemi, di sottrarvi alle vostre responsabilità. Attenzione, perchè non è tutto oro ciò che luccica, e perchè costui spesso non è che un'impostore, un ometto debole che si gonfia come un pallone per sembrare più grosso di quello che è, e che coltiva le vostre insicurezze per tenervi sotto controllo.
Un messaggio potente, non trovate?
E, d'altro canto, un messaggio che nella sua potenza rischia di abbaterci, come abbattuti sono i quattro protagonisti quando scoprono che, dopo tanta fatica, dopo tanti sacrifici, dopo tanti pericoli le loro speranze sono costrette a dissolversi come neve al sole.
C'è di che lasciarsi abbattere, e rinunciare. Ma qui subentra il secondo, straordinario messaggio che questo libro vuole darci. Cosa accade, infatti, quando la speranza inizia a sfumare nella disperazione, ed i quattro stanno pericolosamente incominciando a credere che mai e poi mai soddisferanno i loro desideri? Accade che, come per incanto, si rendono conto che i loro desideri li hanno già realizzati, eccome. 
Accade che guardandosi alle spalle, si rendano conto che la lunga, pericolosa strada appena percorsa li ha costretti a mettersi in gioco, a rischiare, a crescere. E, ciascuno di essi, senza nemmeno rendersene conto ha dimostrato lungo il cammino di avere già dentro di sè i mezzi per ottenere ciò che tanto ardentemente desiderava. 
Ed è così che lo Spaventapasseri si rende conto di aver dimostrato in più occasioni arguzia ed intelligenza, per mettere in salvo il gruppo di amici dai pericoli del cammino; che l'Uomo di Latta realizza che le lacrime di dolore che ha versato lungo il percorso altro non erano che una dimostrazione dell'esistenza di quel cuore che era convinto di non avere; e perfino l'inguaribile Leone Codardo, ha dimostrato di possedere il coraggio cui tanto agognava nel momento in cui affronta saldamente e a testa alta la perfida strega.
Personalmente, adoro questo aspetto della storia, adoro che in una favola, alla fine tutto si ribalti e salti fuori che non esistono maghi o incantesimi, ma solo la nostra forza interiore; e che la strada che percorriamo, gli episodi della nostra esistenza che ci mettono in crisi, le difficoltà che minacciano di abbatterci sono gli elementi che ci consentono di formare il nostro carattere.

Resta poi, certo, la questione di Dorothy e del suo rientro nel Kansas. Una questione fatta di scarpette rosse rubate alla Perfida Strega dell'Est, del bacio di una strega buona, di una semplice formula magica.
Questione in cui, inevitabilmente, un pizzico di magia può e deve intervenire: siamo pur sempre in una favola, d'altronde ^_^ 

Illustrazione di Stefano Bessoni, tratta da PINTEREST



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